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Il cortile delle storie sospese
Il cortile delle storie sospese è un collage di storie, una dietro l’altra, ognuna con la sua particolarità, la sua voce, la sua stramberia, la sua urgenza o la sua drammaticità, storie che si fa fatica a tenere insieme, storie pendenti, sospese come i lenzuoli, apparentemente slegate, ma legate invece al fragile filo della narrazione collettiva, che trova luogo nello spazio-
Siamo nel cortile di un vicolo, di un palazzo, di un condominio o di una piazzetta; un’area circondata da finestre e lenzuoli di vario colore appesi a una corda sostenuta da forcine improvvisate, come si usa negli spazi comuni dei quartieri popolari. Uno spazio che è metafora di quella comunità ristretta che immediatamente ci circonda, che è più prossima a noi: la famiglia, il gruppo degli amici più intimi, il bar, la piazzetta, il luogo di lavoro o il centro diurno dove ci si incontra quasi tutti i giorni.
E, allo stesso tempo, uno spazio-
Un’umanità attraversata da buoni e cattivi sentimenti, da altruismi e da egoismi, da sogni, paure, amori e guerre. Ma soprattutto uno spazio-
Lo spazio scenico è qui rappresentato da quei condomini popolari fatti di file di finestre e panni stesi tra e dentro i quali donne e uomini semplici sono soliti raccontare storie e vicissitudini esistenziali.
Il cortile delle storie sospese è quindi una narrazione a più voci, una carrellata di vicende dove dentro c’è un po’ di tutto: i sintomi dell’alienazione mediatica e di quella familiare, di quella culturale e politica; gli effetti nefasti prodotti dal pregiudizio, dalla discriminazione sociale, dalla dittatura dell’economia e dalla precarietà generalizzata; aspetti della questione femminile che affiorano lungo tutta la narrazione; storie di relazioni finite, tradimenti e nuovi amori; di delusione e speranza; d’amore e violenza; di sommessa accettazione e di ribellione; di noie e di esaltazione; sogni, desideri e crudo realismo; brani scritti dagli stessi attori e perfino stralci e testi di Torquato Tasso, Bertolt Brecht, Jacques Prévert, Edagar Lee Masters, Fabrizio De André, di Caparezza, di Wystan Hugh Auden e di Derek Walcott.
Quest’anno ricorre il decennale della morte di Fabrizio De André, che aveva scritto una canzone, che tutti conoscono, dal titolo Una smisurata preghiera. Forse il cortile è proprio il luogo di questa smisurata preghiera che De André volgeva all’Umanità, alla gente, ai potenti, a dio. Un cortile che accoglie le esperienze, i sussurri, le confessioni, i racconti, le preoccupazioni, le paure, le speranze, i desideri di tutti quelli che ci vivono, storie appese a un filo e stese all’aperto come il bucato negli spazi comuni dei quartieri popolari. Storie dette dunque, private ma pubbliche, perché raccontate, socializzate. Luogo quindi della socializzazione delle gioie e degli affanni privati.
Una raccolta di fatti e personaggi che sono un grido di aiuto e di allarme, una denuncia, un avvertimento lanciati dal cortile di un condominio, in una forma che tenta di farsi collettiva.
Una socializzazione che spera di divenire un antidoto alla frantumazione sociale e a una deriva umana spesso caratterizzata dall’indifferenza, dalla separazione, dalla diffidenza, dalla discriminazione, dal razzismo, dalla violenza pubblica e privata, dalla guerra.
L’opera è rappresentata a dicembre del 2008 al Teatro Comunale di Cesenatico; nel 2009 al Teatro Testori di Forlì (per la 10a edizione del Cantiere Internazionale Teatro Giovani diretto da Walter Valeri e promosso dall’International Theater Center of New England-