Menu principale:
Terminal, blues di un broker fallito di Giovanni Nadiani
collaborazione al testo di Michele Zizzari, per la parte in lingua napoletana.
Il testo è anche uno spettacolo teatrale, di cui Zizzari ha curato scenegrofia e regia. L’opera (anche pubblicata dalla Casa Editrice Mobydick di Faenza con CD della registrazione integrale dello spettacolo allegato e andata in onda come radiodramma su Radio 3 Emilia Romagna) va in scena -
Opera forte e coraggiosa che -
Note all'opera di Michele Zizzari. Quando Giovanni – per me il più originale poeta romagnolo contemporaneo – mi ha chiesto di partecipare al progetto, ne sono stato entusiasta. Era tempo che come autore e migrante adottato, volevo confrontarmi nella mia lingua napoletana con la lingua della terra che da vent’anni mi accoglie, quella romagnola. Meglio ancora se nella parte di un gatto randagio emigrato dal Sud; cosa che narra una parte del mio reale percorso umano. Avvertivo poi tutta l’urgenza e l’importanza del tema di un’Umanità grottescamente diretta verso il suo Terminal, ultima stazione del suo viaggio sulla Terra, tartassata, svenata dal modello di sviluppo capitalistico e dal consumismo. Un modello sociale ed economico insensato e distruttivo, palesemente fallito da tempo, come falliti sono i protagonisti del racconto. Un presente senza futuro, cui si prosegue a dar credito per abitudine, conformismo indolente e spicciola convenienza, in un allarmante deficit di libertà, coraggio e immaginazione.
Terminal è uno degli ultimi lavori di Nadiani, secondo me una sorta di suo testamento letterario e politico, nel quale confluiscono personaggi e temi che caratterizzano l’intera sua produzione, sempre attraversata da una feroce critica sociale. L’opera infatti tratta e racconta di un sistema imposto da una rete di banche, agenzie finanziarie, multinazionali e istituzioni dirette da cricche e caste di privilegiati, cartelli criminali e affaristi senza scrupoli; detentori e amministratori abusivi di risorse umane, naturali e ricchezze che condizionano il mercato delle merci, delle leggi e del lavoro. Una realtà che travolge nel suo cinico tritacarne sociale tutto e tutti, compreso chi crede di essere più furbo degli altri perché garantito da illusoria agiatezza: come accade anche a Giona, uno dei due protagonisti del racconto, ma anche il personaggio polivalente, dalle molteplici personalità, soggetto/oggetto onnipresente in quasi tutta la narrativa di Nadiani. Qui Giona è un broker d’assalto, un consulente finanziario dell’opulenta Romagna, vissuto imbrogliando conoscenti, amici e parenti, cui propina e rifila senza scrupolo titoli tossici e contratti capestro; poi miseramente fallito, vittima lui stesso dei rovesci delle Borse, e infine barbone, destinato (come lo sono intere classi sociali) a incrementare il numero dei nuovi poveri. Un ironico destino lo mette a confronto – nello scenario apocalittico di una Romagna divenuta una triste e generalizzata periferia degradata – con un gatto randagio emigrato dal Sud, quel terrone scalcagnato e disprezzato da sempre, che – quasi per contrappasso – si fa voce della sua stessa sporca e contraddittoria coscienza.
Con Giovanni Nadiani, Guido Leotta e i musicisti del Gruppo musicale Faxtet ho vissuto un’esperienza che mi ha arricchito sul piano umano e artistico, perché dovendo comunicare con linguaggi differenti (in napoletano, in romagnolo e in musica) si è costretti ad ascoltarsi con attenzione, fin nelle pieghe di un accento, per poter arrivare al senso più autentico di un avverbio, di una nota o di un sospiro pronunciati nell’una o nell’altra lingua (verbale, sonora o musicale che sia), per meglio comprendere le sensibilità e gli universi di cui ciascuna lingua è interprete.
In questa chiave ho cercato di dare il mio contributo, traducendo in autentica espressività partenopea contenuti, messaggio e densità drammaturgica dell’opera di Nadiani, inserendo suggestioni sceniche, giochi verbali e gag che rendessero il più vividamente possibile l’immaginario apocalittico e narrativo metro-