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L’Orda che verrà
Nella disomogeneità, nella discontinuità e nell’imprevedibilità che talora caratterizza la Storia e l’alterno sviluppo delle vicende umane, l’Orda che verrà immagina un’opulenta e stanca Europa assalita, invasa, saccheggiata e rasa al suolo da orde di migranti vecchi e nuovi, figli delle più disparate terre e culture, provenienti da ogni angolo sofferente del Pianeta… Orde assetate e affamate, senza più fedi né ideologie, che si coalizzano all’insegna di inedite e allo stesso tempo arcaiche alleanze, per fondare (forse) un Nuovo Mondo sulle rovine del Vecchio…
Provocazione molesta o profezia d'un folle visionario? Omaggio alle sempre più avventurose e pericolose Odissee dei comuni mortali d'ogni provenienza del mondo globalizzato o l'irritante maledizione poetica d'un bastian contrario? Cronaca di un'irreversibile mutazione antropologica o l'inno inaudito d'una rivoluzione inattesa?
Il terrore segreto di un incerto futuro o il conflitto ambiguo e perenne della Storia segnata dalle più profonde e irrisolte contraddizioni umane? Impietosa analisi di un capitalismo terminale votato alla catastrofe o l'improbabile speranza d'un nuovo corso dettato dall'esodo epocale di orde minacciose pronte a travolgere la nostra identità, ogni nostra ricchezza, ogni nostra sicurezza, ogni nostra certezza?
L’Orda che verrà si ispira al testo poetico Profezia di Pier Paolo Pasolini contenuta nella raccolta Poesia in forma di rosa nella quale il poeta sviscera le dinamiche sociali, politiche ed economiche che hanno determinato negli anni ’50, ’60 e ’70 le migrazioni verso il Nord Italia dal Sud del Paese e dal Nord Africa, la disgregazione del tessuto sociale e la distruzione delle comunità rurali, l’abbandono delle campagne, lo svuotamento di interi villaggi e province, la degenerazione delle relazioni affettive e famigliari che ne sono derivate, e non solo questo.
L’Orda che verrà è il tentativo – altrettanto visionario e provocatorio – di attualizzare quella profezia. Un necessità (storica, politica e poetica insieme) dettata dai profondi mutamenti che la globalizzazione ha prodotto negli ultimi decenni su scala mondiale. La crescente instabilità politica di vaste aree del Pianeta, le guerre permanenti e diffuse che le attraversano, gli eccezionali mutamenti climatici causati da uno sconsiderato modello di sviluppo e l’enorme squilibrio tra paesi e continenti ricchi e poveri hanno infatti prodotto fenomeni migratori di dimensioni mai viste, epocali, che muovono intere popolazioni e che investono tutta l’Europa e il Nord America.
In questo nuovo scenario – che sta infliggendo morte e sofferenze inaudite a milioni e milioni di persone, di fronte alle quali si resta sgomenti e impotenti – e in risposta all’immobilismo cinico delle istituzioni politiche nazionali e internazionali, alla disumana indifferenza delle classi agiate, all’odio razzista alimentato da certe forze politiche, il poeta contemporaneo non può restare indifferente.
Per questo ho sentito il bisogno di dar seguito (storico, politico e poetico insieme) a quel provocatorio lavoro poetico di denuncia e di critica con cui Pasolini aveva descritto l’emigrazione causata dallo sviluppo industriale in Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale.
L’opera diventa una performance poetico-